«Non esiste un genere "musica da film"», ha affermato  Nicola Piovani. Ogni pellicola ha, infatti, uno specifico  universo sonoro ed è impensabile tentare di descrivere  sistematicamente un linguaggio che per sua vocazione  è destinato a essere transeunte, se non effimero.  Un regista e il suo compositore possono mescolare  svariati generi e suggestioni, creando paesaggi sonori  in cui il sinfonismo di stampo ottocentesco tende  la mano alle atmosfere della musica da camera  del xx secolo e dove la musica elettronica si alterna  a pagine del repertorio classico, in un gioco di rimandi,  citazioni e parodie. Roberto Calabretto ci conduce per mano in un viaggio  all'interno del delicato rapporto tra schermo e musica,  mostrando come la colonna sonora «sia pianificata,  composta, registrata, montata e finanziata; [.] come  si possa pensare, parlare e scrivere di musica [per film],  come si realizzi la sua forza drammaturgica  e che effetto eserciti nel film finito». L'attenzione  si focalizza su registi che con particolare perizia hanno  saputo allestire il paesaggio sonoro cinematografico:  da Michelangelo Antonioni a Federico Fellini,  da Robert Bresson a Jacques Tati, da Andrej Tarkovskij  a Werner Herzog. Un'indagine a tutto campo  che segue la musica dalla preproduzione alla scrittura,  dalla postproduzione a quei fenomeni -  la risonorizzazione e il restauro - estremamente  importanti ma ancora scarsamente indagati.