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Rime

Rime


pp. 264, 2° ed.
978-88-317-5327-2
Considerate a lungo episodiche e accessorie in confronto alle altre più note opere volgari del Poliziano, come le Stanze e l'Orfeo, le Rime del maggiore e più raffinato rappresentante dell'Umanesimo fiorentino sono qui riproposte secondo il testo critico recentemente stabilito e corredate da un commento che tiene conto delle rinnovate prospettive degli studi polizianei. Le Rime si rivelano così non tanto legate a una specifica stagione della vita del Poliziano, bensì disposte lungo tutto l'arco della sua carriera, dai tempi dell'«homericus adulescens» accolto in casa Medici a quelli del professore nello Studio fiorentino impegnato nell'interpretazione filologica e critica dei testi antichi. L'apparenza per lo più dimessa e cantabile di queste rime è in realtà frutto di scelte ben precise. In questa nuova lettura esse finiscono per rivelarsi non come il passatempo di un letterato, ma come il riscontro sensibile dei suoi principali orientamenti di poetica, il laboratorio dei suoi esperimenti quanto mai vari, ma unificati da un saldo e coerente «umanesimo della parola».

Autore

Angelo Ambrogini (1454-1494) detto Poliziano da Montepulciano sua patria, è uno dei massimi
filologi e poeti del Rinascimento. Legatissimo ai Medici, fu precettore dei figli di Lorenzo il Magnifico (dal 1473) e professore di eloquenza greca e latina nello Studio fiorentino (dal 1480
alla morte); visse prevalentemente a Firenze, con fecondi contatti con i maggiori esponenti della cultura umanistica (Marsilio Ficino, Giovanni Pico, Ermolao Barbaro), e in dialogo con i centri più vivaci di tale cultura, specie del Veneto e delle corti padane. Raffinato poeta in latino e in greco, traduttore di classici, autore di rinnovatori studi filologici (Miscellanea i e ii), scrisse in volgare un poema in ottava rima (Stanze per la giostra di Giuliano de’ Medici), una favola mitologica teatrale (Orfeo), rime (ballate e rispetti), una raccolta di Detti piacevoli.