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Giulio Romano

Giulio Romano

La forza delle cose
a cura di , , con la collaborazione di

pp. 208, 1° ed.
979-12-5463-049-5
Attraverso un approccio di ricerca originale, il catalogo, pubblicato in occasione dell’omonima mostra (Mantova, Palazzo Te, 8 ottobre 2022 - 8 gennaio 2023) intende restituire la complessità celata dai preziosi oggetti ideati da Giulio Romano. Come osserva nella sua introduzione Stefano Baia Curioni (Giulio Romano. La forza delle cose), la rassegna e il volume tentano di individuare un nuovo angolo di lettura, studiando Giulio come progettista di “cose”: piatti, vasi, saliere, alzate, pinze, bicchieri, bottiglie, destinati alla corte, pensati per popolare anche Palazzo Te. In queste vere e proprie opere d’arte è fondamentale riconoscere l’intenzione genuinamente poetica, la stessa che percorre i suoi affreschi, le sue decorazioni e le sue architetture.
Si tratta di oggetti il cui forte valore simbolico giocava un ruolo cruciale nelle dinamiche di corte, spiega Barbara Furlotti nel suo saggio Tra splendore e oculatezza: le cose a corte.  La preziosità dei materiali e le forme ricercate, al pari dei soggetti rappresentati, non solo permettevano di mettere in valore lo status sociale dei committenti, ma anche di diffonderne il programma politico-culturale: la forza delle cose, dunque. 
L’importanza assunta da tali oggetti nel Cinquecento era tale che la loro realizzazione venisse discussa in fitti scambi tra i committenti, i grandi artisti incaricati dei progetti e le maestranze predisposti a metterli in esecuzione. Si tratta di vere e proprie negoziazioni attestate pure dai disegni, che consentono talvolta di seguire l’iter creativo degli artisti, sottolinea Jasmine Clark (Disegni per argenteria: forme e funzioni). Quest’ultimi, da parte loro, miravano a stupire i committenti, immaginando forme sempre più originali e fantasiose. Davide Gasparotto (Il fascino dei vasi antichi, da Mantegna a Michelangelo: fonti letterarie, modelli, forme, materiali) racconta come il repertorio decorativo si rinnovasse e ampliasse e, complici le tante scoperte archeologiche, si nutrisse di modelli antichi, continuamente rielaborati e attualizzati. 
I tanti progetti grafici di Giulio Romano – per i più svariati oggetti, con una predilezione per l’argenteria da tavola – ne dimostrano le raffinate ed eccezionali qualità di designer. Vasi, saliere, brocche sono trasfigurati dalla sua inventiva in forme fantasiose e, allo stesso tempo, strutturalmente coerenti. Funzione, forma e decorazione, all’unisono, fanno di questi oggetti i protagonisti della narrazione, l’innesco di un atto quasi performativo che si avviava con il loro utilizzo: stupivano per le forme, destavano meraviglia per la preziosità e la fantasia, suscitavano la conversazione e il dibattito tra i commensali, animavano la tavola, come nota Guido Rebecchini (Animare la tavola: le invenzioni di Giulio Romano per gli argenti dei Gonzaga). Ma l’estro creativo di Giulio non si limitò alla tavola, si estese a oreficerie, arazzi, letti e persino culle e armi. Merco Merlo si sofferma sull’importanza del suo impatto, diretto e indiretto, in questi ultimi campi (Armaioli, orefici e disegnatori: affinità tecniche e circolazione di modelli nella produzione di armi di lusso). L’impatto di Giulio travalicò i confini italiani e si spinse ampiamente oltre il 1546, anno della sua morte. Alla longue durée del suo lascito artistico contribuirono, in maniera determinante, pure Jacopo Strada – artista, mercante, erudito e antiquario mantovano d’origine – e suo figlio Ottavio. Gli Strada, padre e figlio, raccolsero e assemblarono, in non meno di sei album, disegni originali e copie delle invenzioni giuliesche: un patrimonio d’idee che, con loro, circolò in Europa, come si evince dalla riflessione di Adriana Concin (Jacopo e Ottavio Strada e la fortuna dei disegni di Giulio Romano nel Sacro Romano Impero).
Nel volume, questo aspetto dell’attività di Giulio Romano è contestualizzato nel più ampio panorama artistico cinquecentesco, con affondi, inoltre, su qual vivaio di talenti che fu la bottega romana di Raffaello – che Linda Wolk-Simon ricostruisce nel suo saggio (Progettare «cose meravigliose» nella Roma rinascimentale: Raffaello e la sua bottega) – dove prese avvio la carriera di Giulio. Non manca, infine, un approfondimento sui progetti per argenterie di maestri del calibro di Michelangelo, Girolamo Genga e Francesco Salviati, condotto da Antonio Geremicca (More is Better. La Bella Maniera dei «vasi bizarri», «con diverse forme e modi fantastichi»).