In una struttura a cornice relativamente semplice e breve, con l’abilità di un consumato autore di gialli, con Il biondo Eckbert l’autore ci racconta l’inaudita vicenda di un cavaliere silenzioso e della sua sposa Bertha. In una tempestosa notte d’autunno, nell’angolo più intimo del loro castello e davanti ai vivi bagliori del camino, il cavaliere invita la moglie a raccontare all’amico Walther la sua singolare vita: l’infanzia, la povertà e la fame, la fuga dai genitori, il viaggio, l’arrivo presso una misteriosa vecchia, il furto dell’uccello magico, la nuova fuga nel vasto mondo fino all’incontro con il cavaliere, le nozze e la felicità. Ma la rievocazione di questi eventi straordinari turba profondamente l’animo e la mente degli astanti; apre la strada a inquietanti domande, a nuove inspiegabili esperienze. Quasi di colpo il racconto precipita verso il finale tragico, con la rivelazione dell’incesto e della colpa sempre presagita, con la follia e la morte del biondo cavaliere. Colpisce molto che Tieck abbia iniziato a scrivere questa novella nel 1796, prima che si avesse un’idea del romanticismo e ancora nel cuore stesso del classicismo. Ma del romanticismo questo testo contiene tutti gli ingredienti e tutti gli artifici: l’irruzione del meraviglioso, la distruzione ironica dell’ordine razionale del mondo, il viaggio, l’utopia,
l’allucinazione e il mistero, la colpa e il ritorno del rimosso. E certamente quella di Tieck è un’anticipazione geniale di corde che risuoneranno a lungo nella letteratura tedesca ed europea: la relazione tra innocenza e colpa, le seduzioni della solitudine e della società chiusa, le tentazioni nefaste della proprietà e del possesso e, soprattutto, la potenza del sogno e dell’inconscio.