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Poemetti sacri

Poemetti sacri

a cura di , introduzione di ,
1° ed.
978-88-317-9437-4
I Poemetti sacri di Chiabrera si inscrivono in una lunga parabola compositiva, dal 1593 circa agli anni venti del Seicento, costituendo un esercizio costante intorno alla varietà metrica (l’endecasillabo sciolto, le selve, l’ottava, la terzina) e intorno alla possibilità di narrare in versi le sacre storie derivate dai libri della Bibbia secondo moduli epico-didascalici e poi innografici che accolgono ampie tessere patetiche ed ecfrastiche, citando modelli antichi (Omero, Virgilio) e moderni (Ariosto, Aretino, Tasso, Ronsard e i poeti della Pléiade). La creazione di eroi ed eroine a tutto tondo (David, Maria Maddalena, Giuditta, Micol, il Battista, le Sante Agnese e Margherita, San Carlo Borromeo) e di vivaci personificazioni del Male (Erodiade, Erode, i cinque tiranni, Oloferne, Golia) è funzionale in Chiabrera a una poesia di diletto e di utilità morale, ricca di exempla già tradizionali nella cultura figurativa del tempo, e in linea con i moniti della Chiesa controriformista ai quali il poeta è sensibile quanto ai dettami della Diva Urania che lo invita a narrare col canto.

Luca Beltrami svolge attività di ricerca presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università
di Genova. Sta curando l’edizione del Ritratto del Casalino di Gio. Vincenzo Imperiale.

Simona Morando è ricercatrice presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Genova e insegna al Dams di Imperia. Si occupa di letteratura italiana del Seicento e del Novecento. Ha curato le Lettere (1585-1638) di Gabriello Chiabrera (Firenze, Leo S. Olschki, 2003).

Franco Vazzoler insegna letteratura teatrale presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università
di Genova. Si occupa di letteratura italiana dal Cinque al Novecento e della più recente ricerca teatrale. Per Marsilio ha curato I due Pantaloni. I mercatanti per l’Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Goldoni.

Gabriello Chiabrera (Savona, 1552-1638), dopo gli anni giovanili della formazione romana presso il collegio gesuitico e le corti cardinalizie, viaggia lungamente e stringe rapporti con le corti più in vista del suo tempo - Firenze, Torino, Mantova -, con la Repubblica di Genova e, negli anni tardi, la Roma barberiniana. Come testimonia nella sua Vita, egli è il poeta della sperimentazione di nuovi modi e di nuove maniere, raccogliendo l’eredità di un Cinquecento inquieto italiano e francese e promuovendo un nuovo classicismo, ora disimpegnato, ora grave, che i posteri sentiranno come alternativo alla cifra mariniana. Frequenta tutti i generi poetici offrendo di sé un ritratto diviso tra il poeta epico-eroico (pubblica almeno tre poemi, tra cui l’Amedeide del 1620, canzoni eroiche e sacre, poemetti sacri e profani e canzoni pindariche) e il poeta di cose leggere (canzonette, scherzi, versi bacchici) ponderate poi nella più tarda vena oraziana dei Sermoni. Intensa anche la sua produzione teatrale che lo vede tra i protagonisti, col Rapimento di Cefalo, delle nozze fiorentine di Maria de’ Medici nel 1600. Raccoglie le sue poesie in tre ampie raccolte d’autore (1605-1606, 1618-1619, 1627-1628) e supporta le sue scelte metriche nei maturi Dialoghi dell’arte poetica.
Il suo epistolario, con più di cinquecento lettere inviate al pittore Bernardo Castello, all’amico Pier Giuseppe Giustiniani e ai signori del suo tempo, è il ritratto di un intellettuale disincantato e ugualmente fiducioso nel ruolo futuro della poesia.

Autore

(Savona, 1552-1638), dopo gli anni giovanili della formazione romana presso il collegio gesuitico e le corti cardinalizie, viaggia lungamente e stringe rapporti con le corti più in vista del suo tempo - Firenze, Torino, Mantova -, con la Repubblica di Genova e, negli anni tardi, la Roma barberiniana. Come testimonia nella sua Vita, egli è il poeta della sperimentazione di nuovi modi e di nuove maniere, raccogliendo l’eredità di un Cinquecento inquieto italiano e francese e promuovendo un nuovo classicismo, ora disimpegnato, ora grave, che i posteri sentiranno come alternativo alla cifra mariniana. Frequenta tutti i generi poetici offrendo di sé un ritratto diviso tra il poeta epico-eroico (pubblica almeno tre poemi, tra cui l’Amedeide del 1620, canzoni eroiche e sacre, poemetti sacri e profani e canzoni pindariche) e il poeta di cose leggere (canzonette, scherzi, versi bacchici) ponderate poi nella più tarda vena oraziana dei Sermoni. Intensa anche la sua produzione teatrale che lo vede tra i protagonisti, col Rapimento di Cefalo, delle nozze fiorentine di Maria de’ Medici nel 1600. Raccoglie le sue poesie in tre ampie raccolte d’autore (1605-1606, 1618-1619, 1627-1628) e supporta le sue scelte metriche nei maturi Dialoghi dell’arte poetica.
Il suo epistolario, con più di cinquecento lettere inviate al pittore Bernardo Castello, all’amico Pier Giuseppe Giustiniani e ai signori del suo tempo, è il ritratto di un intellettuale disincantato e ugualmente fiducioso nel ruolo futuro della poesia.