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Don Giovanni

"Chi sei tu?". A questa domanda, formulata nella prima scena del Don Giovanni di Tirso de Molina (El burlador de Sevilla), ha cercato di rispondere una tradizione ricchissima e ininterrotta di testi, nei quali si ripropone il più significativo e importante mito di tutta la modernità. Dopo l’esordio nella commedia di Tirso, il personaggio ricompare in forme e contesti diversi, dal melodramma al romanzo, dal poema all’opera cinematografica, sempre conservando una carica di indecifrabilità e talora un alone di mistero. Impenitente seduttore o paladino dei diritti insopprimibili della ragione? Mediocre debosciato, codardo e ingannatore, o coraggioso fautore dell’emancipazione dai vincoli della morale e della religione? Come risulta dalle versioni integralmente riprodotte all’interno di questo libro - oltre all’archetipo di Tirso de Molina, i testi di Molière, Da Ponte-Mozart e Horváth -, dopo quasi quattro secoli di vita Don Giovanni rimane ancora un enigma, per il quale non esiste una soluzione indiscutibile. Una figura ancora capace di sfuggire a quanti vorrebbero imprigionarne il significato in uno schema univoco, ripetendo loro ciò che, nel melodramma di Da Ponte-Mozart, il protagonista dice a chi preme per conoscere la sua vera identità: "chi son io tu non saprai!".

Umberto Curi insegna storia della filosofia presso l’Università di Padova. Tra le sue pubblicazioni: La cognizione dell’amore. Eros e filosofia, Milano 1997; Endiadi. Figure della duplicità, Milano 20002. Ha pubblicato recentemente un testo dedicato all’analisi filosofica del mito di Don Giovanni: Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito moderno, Milano 2002.

Autori

Jean-Baptiste Poquelin (1622-1673), meglio noto come Molière, non è un genio precoce; o meglio, arriva tardi al successo e alla conoscenza delle trame profonde della sua vocazione. A lasciare l’ambiente familiare e un avvenire sicuro lo spinge il progetto di diventare un giorno autore tragico e di interpretare personaggi eroici, oltre all’attrazione per Madeleine Béjart, di cui sposerà una giovanissima sorella (o piuttosto la figlia, dirà qualche mala lingua). Invece, dopo anni difficili di tournées in provincia, attira l’attenzione del pubblico parigino e il favore del Re Sole con piccole commedie e recitando in ruoli ridicoli. Non potendo cambiare né il suo fisico né il suo talento, decide allora di modificare la natura e il volto del teatro comico. In un’epoca in cui si innalzano steccati, anche estetici, apre i confini del riso, ne riattiva la libera circolazione trasgredendo le distinzioni gerarchiche tra serio e buffo, alto e basso. Contamina la pratica della commedia con strutture tragiche e insieme con materiali farseschi; partecipa alle feste di corte, contribuisce al loro incantamento, non senza inventare un nuovo genere: la comédie-ballet. Favole antiche e costumi moderni, prosa e versi, ornamenti musicali ed effetti dissonanti si avvicendano liberamente nella sua produzione comprendente pièces famosissime come La scuola delle mogli, Tartufo, Don Giovanni, Il misantropo, L’avaro, Il borghese gentiluomo, Il malato immaginario e disegnano una visione del teatro che è finalmente una rappresentazione suggestiva e polifonica del mondo.