Volpone (1605), uno dei capolavori assoluti del periodo aureo del teatro inglese, ha un protagonista silenzioso: l’oro. La sete di ricchezza agita tanto il veneziano Volpone quanto i tre rapaci sciocchi che con l’aiuto dell’infido Mosca egli inganna promettendo a ciascuno le sue ricchezze, in una sarabanda magistrale di raggiri che si ritorce infine contro gli autori stessi. Raramente si trovano insieme così abilmente ed espressivamente armonizzate tante nobili tradizioni: la satira di Luciano e Orazio si sposa alla beffa del teatro rinascimentale italiano, e l’arte magistrale del dialogo teatrale elisabettiano si coniuga con la vivacità espressiva e la studiata improvvisazione della Commedia dell’Arte.
Volpone vende la merce più impalpabile e tuttora attuale che si possa incontrare, a teatro e fuori: l’illusione che la ricchezza sia quieta ad attenderci, lì, al cospetto di un imbonitore come
Volpone. Ancora oggi una delle commedie del Rinascimento più recitate, e da alcuni preferita alla commedia shakespeariana per quella rabbia aspra e inconciliante che Shakespeare non ha,
Volpone ci pone davanti, come in un diabolico specchio deformante, le allucinazioni collettive e le pratiche ingannevoli e truffaldine di una comunità che, pur nel passare delle ideologie, parla ancora un linguaggio che conosciamo e riconosciamo.