La trama di questo racconto d’esordio di Arthur Schnitzler, pubblicato nel 1894, pochi anni prima dell’Interpretazione dei sogni di Freud, sembra semplice e lineare. Ne sono protagonisti due figure di amanti e due medici: il medico Bernard che diagnostica allo scrittore Felix la malattia che gli lascerà al massimo un anno di vita; la figura femminile di Marie che giura all’amante di non poter vivere senza di lui e di volerlo seguire nella morte; l’amico di Felix, il medico Alfred, che conforta la loro disperazione e sarà a fianco di Marie quando lei sfuggirà alla morsa dell’amico che vorrebbe trascinarla con sé nel momento della fine. Se la fabula è semplice, la diagnosi clinica iniziale scatena un gioco di pulsioni incrociate e accompagna una successione di eventi non sempre prevedibili. Si sviluppa soprattutto un racconto fatto di azioni interiori, inesorabile nella progressione psicologica, che apre diverse possibilità di lettura: la fuga di Marie come trionfo dell’istinto di vita, ma anche come esempio di una complicità involontaria e fatale tra coloro che sono destinati a sopravvivere; le strategie del morente messe in atto per accettare e sublimare il processo di appressamento alla morte; il viaggio nel Sud come andata ad inferos e quasi una singolare anticipazione del più celebre racconto manniano Morte a Venezia. Ma, forse, il tema più sottile, che stava segretamente più a cuore al medico e scrittore esordiente Schnitzler e che il lettore di oggi percepisce appieno, è la rete delle simulazioni incrociate, l’inseguirsi della pulsione erotica e della pulsione di morte, il rapporto tra verità e menzogna, i limiti e la forza della parola della scienza, lo screziarsi e il confondersi continuo dei piani della coscienza.