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Tutto il teatro

Tutto il teatro

<VOLUME III>
a cura di

pp. 512, rilegato
978-88-317-6743-9

Scrivere in Veneto, per Gino Rocca, era un "modo di essere spontaneo", come ebbe a dichiarare nel 1932 a Ettore Petrolini: a questo dialetto sono legati due capolavori assoluti Se no i xe mati, no li volemo (1926) e Sior Tita paron (1928). Il primo, diventato praticamente un modo di dire, segue di pochi mesi la commedia Mezzo gaudio, tutta pervasa da una ilarità forse inconsapevole e dove il tradimento coniugale è vissuto quasi con naturalezza. Situazione che drammaticamente muta nel testo in vernacolo, incontrando il protagonista Momi Tamberlan - cavallo di battaglia di Giachetti, Baseggio, Micheluzzi, Cavalieri, la follia vera, in un crescendo straordinario, con atmosfere di lacerante solitudine. Ormai il dissolversi dei valori è sotto la lente del commediografo: siano essi familiari - e anche Il nido rifatto (1927), con vecchi amanti che si rivedono brevemente dopo anni va in questa direzione, attraverso la nota dominante dell'infelicità - siano economico-sociali, con la indovinata figura dell'americano povero che viene in Italia a cercar fortuna in Jack emigra (1927) poi ampliato in America (1927). Dopo alcuni ati unici del 1927, tra i quali Il solco ci riporta all'incombere tragico della guerra, ritroviamo l'attenzione al dialetto con gli atti unici, autentici piccoli gioielli, L'imbriago de sesto (1927) e La scorzeta de limon (1928), ai quali segue il grottesco Sior Tita paron (1928) preceduto di poco da Il gladiatore morente, nel quale l'ex pugile nero Sixi è emblema della solitudine, della incomunicabilità della disgregazione sociale contemporanee e dove l'unico vero dominatore è il denaro, al quale si sacrifica l'amicizia, la riconoscenza, l'amore.

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