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Don Giovanni

traduzione di ,
3° ed.
978-88-317-6732-3

Jean-Baptiste Poquelin (1622-1673), meglio noto come Molière, non è un genio precoce; o meglio, arriva tardi al successo e alla conoscenza delle trame profonde della sua vocazione. A lasciare l’ambiente familiare e un avvenire sicuro lo spinge il progetto di diventare un giorno autore tragico e di interpretare personaggi eroici, oltre all’attrazione per Madeleine Béjart, di cui sposerà una giovanissima sorella (o piuttosto la figlia, dirà qualche mala lingua). Invece, dopo anni difficili di tournées in provincia, attira l’attenzione del pubblico parigino e il favore del Re Sole con piccole commedie e recitando in ruoli ridicoli. Non potendo cambiare né il suo fisico né il suo talento, decide allora di modificare la natura e il volto del teatro comico. In un’epoca in cui si innalzano steccati, anche estetici, apre i confini del riso, ne riattiva la libera circolazione trasgredendo le distinzioni gerarchiche tra serio e buffo, alto e basso. Contamina la pratica della commedia con strutture tragiche e insieme con materiali farseschi; partecipa alle feste di corte, contribuisce al loro incantamento, non senza inventare un nuovo genere: la comédie-ballet. Favole antiche e costumi moderni, prosa e versi, ornamenti musicali ed effetti dissonanti si avvicendano liberamente nella sua produzione comprendente pièces famosissime come La scuola delle mogli, Tartufo, Don Giovanni, Il misantropo, L’avaro, Il borghese gentiluomo, Il malato immaginario e disegnano una visione del teatro che è finalmente una rappresentazione suggestiva e polifonica del mondo.

Nel 1665 Molière mette in scena una sua versione del Convitato di pietra, argomento che a teatro aveva già riscosso grandi successi soprattutto grazie ai comici dell’Arte. Ma a differenza delle stesure precedenti, dopo qualche replica Dom Juan sparisce dal cartellone fino alla morte di Molière e ben oltre; e le sue peripezie editoriali non saranno meno travagliate. Come spiegare la diversità di reazione di fronte a trame tanto simili a quelle che erano rappresentate senza nessuno scandalo da altre compagnie? Quale fantasma si aggira in quest’opera così vicina e così lontana dalle sue fonti? Il caso appare particolarmente enigmatico, ma forse ancora una volta è lo stesso teatro molieriano a rappresentarne per immagine le chiavi di lettura.

Delia Gambelli, dell’Università di Roma «La Sapienza», ha pubblicato Arlecchino a Parigi. I. Dall’inferno alla corte del Re Sole (Bulzoni 1993), vincitore del premio letterario di francesistica Terme di Saint-Vincent nel 1994, e Arlecchino a Parigi. II. Lo Scenario di Domenico Biancolelli (1997), volumi che ripercorrono il cammino dei comici dell’Arte in viaggio tra Italia e Francia e le trame dei canovacci di Biancolelli, di cui è presentata l’edizione critica.

Dario Fo, attore (nel Seicento l’avrebbero definito farceur, come Molière); autore, spesso in collaborazione con Franca Rame, di opere tradotte in molte lingue (Mistero buffo, Tutta casa, letto e Chiesa…); regista di teatro (di Molière ha messo in scena Le Médecin volant e Le Médecin malgré lui alla Comédie Française nel 1990) e di teatro in musica. Nel 1997 ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura, anche per il profondo valore sociale del suo riso d’arte.

Autore

Jean-Baptiste Poquelin (1622-1673), meglio noto come Molière, non è un genio precoce; o meglio, arriva tardi al successo e alla conoscenza delle trame profonde della sua vocazione. A lasciare l’ambiente familiare e un avvenire sicuro lo spinge il progetto di diventare un giorno autore tragico e di interpretare personaggi eroici, oltre all’attrazione per Madeleine Béjart, di cui sposerà una giovanissima sorella (o piuttosto la figlia, dirà qualche mala lingua). Invece, dopo anni difficili di tournées in provincia, attira l’attenzione del pubblico parigino e il favore del Re Sole con piccole commedie e recitando in ruoli ridicoli. Non potendo cambiare né il suo fisico né il suo talento, decide allora di modificare la natura e il volto del teatro comico. In un’epoca in cui si innalzano steccati, anche estetici, apre i confini del riso, ne riattiva la libera circolazione trasgredendo le distinzioni gerarchiche tra serio e buffo, alto e basso. Contamina la pratica della commedia con strutture tragiche e insieme con materiali farseschi; partecipa alle feste di corte, contribuisce al loro incantamento, non senza inventare un nuovo genere: la comédie-ballet. Favole antiche e costumi moderni, prosa e versi, ornamenti musicali ed effetti dissonanti si avvicendano liberamente nella sua produzione comprendente pièces famosissime come La scuola delle mogli, Tartufo, Don Giovanni, Il misantropo, L’avaro, Il borghese gentiluomo, Il malato immaginario e disegnano una visione del teatro che è finalmente una rappresentazione suggestiva e polifonica del mondo.