“Preludio al Preludio”, o inizio del poema degli inizi: così potremmo definire questo intenso, luminoso, piccolo Preludio 1799, ovvero la prima stesura del grande poema autobiografico che Wordsworth continuò a scrivere e riscrivere per tutta la vita, ampliandolo e modificandone struttura e intenti, senza mai pubblicarlo, senza mai, perfino, dargli un titolo definitivo, tanta era l’urgenza di assecondare la fluidità inarrestabile della forma poetica, che in epoca romantica sempre si configura come in-finito, organismo in divenire, produzione continua di forme, significati e relazioni nuove e mutevoli. Fu la versione del 1805 in 13 libri, pubblicata postuma e finalmente con un titolo - Il Preludio appunto, scelto dalla moglie Mary - a imporsi come quella canonica e a suo modo “definitiva”: una lunga meditazione sulla “crescita della mente del poeta”, con i suoi momenti di gloria, di attesa e di perdita, innervata sulla narrazione di avvenimenti formativi della vita di Wordsworth.
Ma l’agile Preludio 1799, di cui presentiamo la prima traduzione italiana, si colloca all’origine di tutto questo, nei momenti privilegiati e ansiosi dell’infanzia di un poeta, quando il mondo fisico e naturale si rivela come presenza sublime e paurosa, esperienza incomunicabile di appartenenza ed esclusione, turbamento e felicità. Momenti di presente puro in cui il tempo-spazio umano si sospende e si apre ai percorsi dell’immaginazione, dei sensi, del ricordo. Spots of time li chiama il poeta: anticipazioni di quella nuova concezione del tempo che sarà alla base di tanta sperimentazione modernista, dalle epifanie joyciane ai momenti d’essere di Virginia Woolf. Raccontarli, e trasmetterne tutta l’intensità e lo stupore, può riuscire soltanto alla grande poesia.