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Carteggi inediti

Carteggi inediti

Opera Omnia

pp. CVII-426, rilegato, 1° ed.
978-88-317-9133-5
Inizia con le lettere inedite l'opera critica promossa dalla Fondazione V. Imbriani

La bibliografia imbrianesca già annovera non pochi carteggi a testimonianza di una prolifica attività di corrispondenza, che attesta, a dispetto dell’accusa di misantropia lanciata nei suoi confronti, la fitta rete di rapporti umani e culturali intrattenuti dall’Autore con le più disparate personalità operanti nelle regioni italiane. Sarà sufficiente porre attenzione alla situazione editoriale, che si offre allo sguardo dello studioso circa i carteggi fino a oggi pubblicati, per poter ricostruire il fitto tessuto di rapporti di Imbriani. Spesso sono piccoli lacerti di lettere, destinati a illustrare il lavoro letterario, l’impegno demopsicologico o filosofico, o l’attività politica, ma ci sono anche corposi carteggi che illuminano una vita trascorsa intensamente, come attestano le pagine di questo volume. I carteggi inediti, che qui si offrono in lettura, recuperati da Monica Mola per la maggior parte presso la Biblioteca universitaria di Napoli, dove si conservano le carte e la biblioteca dell’Imbriani, erano noti attraverso la descrizione di Nunzio Coppola, benemerito studioso degli epistolari imbrianeschi. Accantonati per inseguire altri temi più cogenti della vicenda umana dell’Autore, essi costituiscono ora un nuovo tassello nella ricostruzione di un mosaico, che diventa sempre più prossimo a una definizione quasi completa.

Vittorio Imbriani (Napoli 1840 - Pomigliano d’Arco 1886) è una delle personalità più accattivanti della cultura italiana ed europea della seconda metà dell’Ottocento; fu, secondo Gianfranco Contini,  il «Carlo Emilio Gadda della Nuova Italia». Figlio di Paolo Emilio Imbriani e di Carlotta Poerio, nipote di Alessandro e di Carlo, visse, accanto al padre, in esilio a Genova, a Torino e a Zurigo, la sua gioventù. Nel 1858 frequentò presso il Politecnico di Zurigo le lezioni di Francesco De Sanctis; i rapporti col critico irpino gli consentirono, prima dei dissapori e delle distanze politiche e critiche, di avvicinarsi allo studio di Hegel a Berlino. Si formò anche a Parigi, studiando economia politica e archeologia letteraria presso il Collegio di Francia. Partecipò ai moti risorgimentali, combattendo anche nel corpo dei volontari garibaldini a Bezzecca. In questo periodo (1866), in un soggiorno a Gallarate, conobbe Alessandro Manzoni e intrecciò una relazione con Eleonora Bertini, moglie di Luigi Rosnati, di cui sposerà poi, nel 1878, la figlia Gigia.    
Spirito polemico (con non pochi duelli e processi) ed estroso, fu molto preso dal giornalismo, collaborando a diversi giornali e riviste italiane ed europee. I molteplici impegni politici e letterari lo condussero, dopo l’Unità d’Italia, a frequenti soggiorni a Firenze e a Roma. Impegnato anche in politica, ricoprì incarichi amministrativi. Nella sua breve, ma densa vita, s’interessò di filosofia, di demopsicologia, di critica d’arte e, soprattutto, di letteratura, consegnando alla narrativa opere di rilevante valore artistico, quali i romanzi Merope IV (1867) e Dio ne scampi dagli Orsenigo (1876),
ma anche tanti racconti, quali Le tre maruzze, L’impietratrice, Mast’Impicca, La novella del vivicomburio, Per questo Cristo, ebbi a farmi turco, Santo Chiuppillo, che, assieme a molti altri, scritti in una lingua “nuova”, impastata di neologismi e secentismi, intrisa di lazzi e di umori sboccati, hanno fatto di lui un moderno uomo terenziano, che si diverte come «un gaio fanciullone» a «scandalizzare e ridere». L’impegno critico, da molti contemporanei temuto per le sue fustiganti note, fu in particolar modo riversato, tra gli altri,  su G.B. Basile e Dante Alighieri. Studioso del mondo popolare, da cui trasse non poca linfa per le sue invenzioni narrative, raccolse La novellaja fiorentina (1871), La novellaja milanese (1872) e altre antologie di «canti» e «conti» popolari.

Monica Mola ha svolto i suoi studi presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Napoli Federico II, dove ha conseguito anche il titolo di dottore di ricerca in italianistica; attualmente è professore di ruolo presso il Liceo scientifico Nino Cortese di Maddaloni (Caserta).  Ha pubblicato, in riviste e in volumi miscellanei, saggi su Boine, su Angelo De Gubernatis e la «Rivista contemporanea», sul «Piccolo» di Rocco De Zerbi e vari contributi sui carteggi e sulle polemiche di Vittorio Imbriani. Si sta ora interessando di Riccardo Ricciardi.

Raffaele Giglio è professore ordinario di letteratura italiana presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Napoli Federico II. Ha pubblicato, tra gli altri, volumi su Dante, E. De Fonseca Pimentel, L. Serio, F.S. Salfi, V. Imbriani, E. Scarfoglio, M. Serao. Direttore di «Critica letteraria», è presidente del Comitato scientifico della Fondazione Vittorio Imbriani. S’interessa, fin dal 1970, del rapporto letteratura-giornalismo, e ha fondato a Napoli il Centro interuniversitario di ricerca di letteratura e giornalismo «La terza pagina»



Autore

(Napoli 1840 - Pomigliano d’Arco 1886) è una delle personalità più accattivanti della cultura italiana ed europea della seconda metà dell’Ottocento; fu, secondo Gianfranco Contini,  il «Carlo Emilio Gadda della Nuova Italia». Figlio di Paolo Emilio Imbriani e di Carlotta Poerio, nipote di Alessandro e di Carlo, visse, accanto al padre, in esilio a Genova, a Torino e a Zurigo, la sua gioventù. Nel 1858 frequentò presso il Politecnico di Zurigo le lezioni di Francesco De Sanctis; i rapporti col critico irpino gli consentirono, prima dei dissapori e delle distanze politiche e critiche, di avvicinarsi allo studio di Hegel a Berlino. Si formò anche a Parigi, studiando economia politica e archeologia letteraria presso il Collegio di Francia. Partecipò ai moti risorgimentali, combattendo anche nel corpo dei volontari garibaldini a Bezzecca. In questo periodo (1866), in un soggiorno a Gallarate, conobbe Alessandro Manzoni e intrecciò una relazione con Eleonora Bertini, moglie di Luigi Rosnati, di cui sposerà poi, nel 1878, la figlia Gigia.    
Spirito polemico (con non pochi duelli e processi) ed estroso, fu molto preso dal giornalismo, collaborando a diversi giornali e riviste italiane ed europee. I molteplici impegni politici e letterari lo condussero, dopo l’Unità d’Italia, a frequenti soggiorni a Firenze e a Roma. Impegnato anche in politica, ricoprì incarichi amministrativi. Nella sua breve, ma densa vita, s’interessò di filosofia, di demopsicologia, di critica d’arte e, soprattutto, di letteratura, consegnando alla narrativa opere di rilevante valore artistico, quali i romanzi Merope IV (1867) e Dio ne scampi dagli Orsenigo (1876), ma anche tanti racconti, quali Le tre maruzze, L’impietratrice, Mast’Impicca, La novella del vivicomburio, Per questo Cristo, ebbi a farmi turco, Santo Chiuppillo, che, assieme a molti altri, scritti in una lingua “nuova”, impastata di neologismi e secentismi, intrisa di lazzi e di umori sboccati, hanno fatto di lui un moderno uomo terenziano, che si diverte come «un gaio fanciullone» a «scandalizzare e ridere». L’impegno critico, da molti contemporanei temuto per le sue fustiganti note, fu in particolar modo riversato, tra gli altri,  su G.B. Basile e Dante Alighieri. Studioso del mondo popolare, da cui trasse non poca linfa per le sue invenzioni narrative, raccolse La novellaja fiorentina (1871), La novellaja milanese (1872) e altre antologie di «canti» e «conti» popolari.