Durante la prima guerra mondiale le donne non presero il posto degli uomini partiti per il fronte. Lespansione economica di guerra, tuttavia, offrì un maggior numero di opportunità lavorative dotate di una visibilità sociale sconosciuta ai mestieri agricoli, domestici o a domicilio che costituivano i maggiori settori occupazionali femminili dellepoca. Si trattò di unesperienza di mobilità femminile che non aveva precedenti nella storia delle società europee e che produsse irreversibili mutamenti nel comportamento e nel costume. Eppure, limmagine delle lavoratrici di guerra fu quella di donne che avevano sostituito gli uomini, secondo uno stereotipo che risaliva agli inizi della industrializzazione e aveva attribuito la nuova presenza femminile nel mercato del lavoro a unanomalia dello sviluppo, piuttosto che alla mobilità prodotta dalla diversificazione economica. La guerra ripropose e amplificò tale immagine mistificatoria, contribuendo alla definizione di una cittadinanza femminile secondaria rispetto a quella maschile delle trincee. Attraverso una ricostruzione analitica e una serie di casi di studio basati su documenti inediti, Barbara Curli esamina il lavoro delle donne in alcuni settori delleconomia italiana di guerra, con lintento di individuare le interazioni tra congiuntura bellica e più ampi processi di trasformazione della società italiana, e di valutarne gli effetti di più lungo periodo sulloccupazione femminile nellindustria e nel terziario privato. Lautrice si sofferma inoltre sul rapporto tra mutamenti economici e organizzativi e la costruzione di norme culturali e sociali, che sta alla base della ridefinizione di identità lavorative maschili e femminili (ad esempio, alle origini della femminilizzazione del lavoro dufficio) e degli elementi tanto di continuità.
Il libro di Barbara Curli è risultato vincitore del Premio SISSCO (Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea) 1999