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L'aurora boreale

L'aurora boreale

Prima parte. Mediterraneo
traduzione di , a cura di , traduzione di

pp. 1020, 1° ed.
9788829719877
Dopo Autointerpretazione, il testo in prosa che Däubler aveva premesso alla seconda edizione dell’Aurora boreale, esce ora nella nostra lingua la prima parte della sua straordinaria composizione, di oltre trentamila versi.
Il volume, aperto dalla presentazione di Luigi Garofalo, si chiude con un contributo di Paolo Ruffilli, al quale si deve la strutturazione metrica dei versi, come tradotti da Marcello Montalto, nella fedeltà alle rime dell’originale.
La poesia di Däubler vive costantemente in una dimensione visionaria. Pur partendo dai dati reali, a giocarvi la carta vincente è l’immaginazione, in quanto immaginare non è un occasionale e generico fantasticare, ma dare corpo di immagine a ciò che si arriva a intuire. L’aurora boreale è il segno permanente della primigenia coniugazione tra il sole e la terra, reazione elettrochimica e metafora visibile di una luce giallo-sole originaria che, mescolandosi al blu-notte del buio, produce le scie di verde-vita che la caratterizzano. Trattare in versi gli argomenti teorici è sempre difficile e Däubler, per tradurre liricamente anche i passaggi più ideologici, fa ricorso a tutti gli espedienti che la poesia offre. Nella convinzione che il ritmo sia lo strumento migliore per affrontare la sfida.

Autore

fu poeta e scrittore annoverabile nella schiera degli espressionisti. Nato nella Trieste austroungarica del 1876 da padre svevo e madre della Slesia, poco più che ventenne si trasferisce a Vienna con la famiglia. Trascorre il resto della sua vita, prima di ammalarsi irrimediabilmente, da bohémien peregrinante: Parigi, Berlino, la stessa Vienna, Dresda, Firenze, Roma, Ginevra e Atene sono le principali città in cui sosta, frequentando i salotti più ambiti, nei quali viene invitato per la sua forza trascinatrice dovuta a un’inesauribile foga declamatoria, e intessendo relazioni intense con esponenti di spicco del mondo della letteratura, dell’arte e del pensiero politico e giuridico. Avvilito dalla sorte toccata alle proprie opere, tra le quali svetta Das Nordlicht, muore in un sanatorio della Foresta Nera, povero e dimenticato da tutti o quasi, nel 1934.