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Vittorio Imbriani

Vittorio Imbriani(Napoli 1840 - Pomigliano d’Arco 1886) è una delle personalità più accattivanti della cultura italiana ed europea della seconda metà dell’Ottocento; fu, secondo Gianfranco Contini,  il «Carlo Emilio Gadda della Nuova Italia». Figlio di Paolo Emilio Imbriani e di Carlotta Poerio, nipote di Alessandro e di Carlo, visse, accanto al padre, in esilio a Genova, a Torino e a Zurigo, la sua gioventù. Nel 1858 frequentò presso il Politecnico di Zurigo le lezioni di Francesco De Sanctis; i rapporti col critico irpino gli consentirono, prima dei dissapori e delle distanze politiche e critiche, di avvicinarsi allo studio di Hegel a Berlino. Si formò anche a Parigi, studiando economia politica e archeologia letteraria presso il Collegio di Francia. Partecipò ai moti risorgimentali, combattendo anche nel corpo dei volontari garibaldini a Bezzecca. In questo periodo (1866), in un soggiorno a Gallarate, conobbe Alessandro Manzoni e intrecciò una relazione con Eleonora Bertini, moglie di Luigi Rosnati, di cui sposerà poi, nel 1878, la figlia Gigia.    
Spirito polemico (con non pochi duelli e processi) ed estroso, fu molto preso dal giornalismo, collaborando a diversi giornali e riviste italiane ed europee. I molteplici impegni politici e letterari lo condussero, dopo l’Unità d’Italia, a frequenti soggiorni a Firenze e a Roma. Impegnato anche in politica, ricoprì incarichi amministrativi. Nella sua breve, ma densa vita, s’interessò di filosofia, di demopsicologia, di critica d’arte e, soprattutto, di letteratura, consegnando alla narrativa opere di rilevante valore artistico, quali i romanzi Merope IV (1867) e Dio ne scampi dagli Orsenigo (1876), ma anche tanti racconti, quali Le tre maruzze, L’impietratrice, Mast’Impicca, La novella del vivicomburio, Per questo Cristo, ebbi a farmi turco, Santo Chiuppillo, che, assieme a molti altri, scritti in una lingua “nuova”, impastata di neologismi e secentismi, intrisa di lazzi e di umori sboccati, hanno fatto di lui un moderno uomo terenziano, che si diverte come «un gaio fanciullone» a «scandalizzare e ridere». L’impegno critico, da molti contemporanei temuto per le sue fustiganti note, fu in particolar modo riversato, tra gli altri,  su G.B. Basile e Dante Alighieri. Studioso del mondo popolare, da cui trasse non poca linfa per le sue invenzioni narrative, raccolse La novellaja fiorentina (1871), La novellaja milanese (1872) e altre antologie di «canti» e «conti» popolari.

I libri di Vittorio Imbriani