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Giuseppe Berto: Thirty Years Later

Giuseppe Berto: Thirty Years Later


pp. 96, 1° ed.
978-88-317-9903-4
A trent'anni esatti dalla morte di Giuseppe Berto, nato a Mogliano Veneto il 27 dicembre 1914, morto a Roma il 1° novembre 1978, tre università statunitensi (la State University di New York, la Rutgers University e la Fordham University) ripercorrono la sua opera in un convegno internazionale che ha visto coinvolti studiosi e italianisti d'America. Un gesto doveroso verso uno dei più originali scrittori italiani fra gli anni Quaranta e Settanta; gesto ancor più significativo se si pensa che fu proprio in terra americana, durante la sua prigionia a Hereford (Texas), fra il 1943-1945, che Berto scrisse le sue prime opere narrative: racconti di guerra e di prigionia, e due romanzi, Le opere di Dio e La perduta gente, titolo, quest'ultimo, poi mutato da Leo Longanesi in Il cielo è rosso, che, pubblicato nel 1947, diede subito a Berto un notevole successo. Va qui ricordato il sicuro anticipo delle sue doti narrative nel racconto-resoconto della sua esperienza della guerra d'Africa, pubblicato in quattro puntate su «Gazzettino sera» dal 17 al 24 settembre 1940, poi nel volume postumo La colonna Feletti (Marsilio 1987). Scrittore tra i più amati e avversati della sua generazione, anche per la sua giovanile adesione al fascismo, Berto seppe mantenere una sua posizione autonoma, allontanandosene disilluso dal dopoguerra, e sempre conservando una posizione ideologica libertaria, caparbiamente indipendente, controcorrente, al di fuori o al di sopra di ogni settarismo di parte, con una intransigenza che gli avrebbe procurato fatalmente tanti nemici. Né a molto valse la pubblicazione nel 1951, presso Einaudi, di un romanzo come Il brigante che, a dire dello stesso Berto, era stato con Le terre del Sacramento di Francesco Jovine «uno dei due romanzi marxisti della nostra letteratura». Né a rimuovere questa cortina di incomprensione e di imbarazzante ostracismo da parte di non poca della critica cosiddetta ufficiale, valse il travolgente consenso di pubblico verso romanzi come Il male oscuro, La cosa buffa, La gloria, il primo dei quali - titanica e al contempo tragicomica lotta contro la nevrosi - resta uno dei capolavori del Novecento italiano.