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La locandiera
“Oh! Non ho altro di buono,
che la sincerità”

«I due libri su' quali ho più meditato, e di cui mi pentirò mai di essermi servito, furono il Mondo e il Teatro» Carlo Goldoni

Le numerose edizioni settecentesche che s’intersecano l’una con l’altra, la mancanza degli autografi e la vastità dell’impresa di fronte alle cento e più commedie, alle decine di melodrammi giocosi, di drammi per musica e di altri componimenti teatrali, cui si affiancano poesie, prose amplissime di memoria e un cospicuo epistolario, hanno impedito fino ad ora che si affrontasse la questione dell’edizione critica delle opere di Carlo Goldoni.
La cultura italiana e internazionale si era rassegnata e accomodata all’ombra della grande, meritoria fatica di Giuseppe Ortolani iniziata nei primi anni del secolo, senza, tuttavia, un chiaro progetto e senza precisi criteri filologici.
Alla base di questa edizione nazionale vi è stata una preliminare indagine sulle stampe volute dall’autore dal 1750 agli anni ultimi della sua lunga vita al fine di determinare, opera per opera, i diversi stadi del testo. Da qui la presenza di un ricco apparato di varianti che illustra l’evoluzione della singola opera fino al momento in cui l’autore non impone ad essa una fisionomia definitiva. Consegnati al teatro, i testi, che erano nati per esso, riprenderanno immediatament

Quella che sarebbe diventata la più importante (e rappresentata) commedia del teatro italiano nasce apparentemente senza troppo rilievo e senza troppo strepito. L’operosa frenesia di Goldoni la incastona quasi per caso nelle opere della densa stagione teatrale che culmina nel carnevale del 1753. In realtà La locandiera è il risultato di un esperimento iniziato da lontano e collaudato attraverso gli affannosi rapporti con l’impresario Medebach e con la sua compagnia.
Al di là del risultato artistico e della fortuna che andranno ben oltre la contingenza della cronaca, la commedia deve, in gran misura, la sua nascita a quei personaggi transeunti ma non minori senza i quali, per ammissione stessa dell’autore, il coraggioso tentativo di riforma non sarebbe stato possibile: gli attori del teatro Sant’Angelo.
Questi, ormai consapevoli delle proprie potenzialità artistiche, ben presenti nell’orizzonte d’attesa degli spettatori veneziani, veri arbitri del moderno teatro commerciale, costituiscono una compagnia solidamente assestata. Goldoni ha con loro un rapporto basato sulla consuetudine personale e sulla conoscenza delle rispettive possibilità espressive; a quest’altezza cronologica ha già sottoposto tutti i comici a quel riassetto dei «ruoli» che aveva conosciuto negli anni conclusivi del Sant’Angelo la sua sistematica attuazione. E adesso quel riassetto giunge al culmine.
Da tempo ormai per Goldoni l’ispiratrice di Mirandolina, Maddalena Marliani, era ben più che una soubrette come tutti i membri della compagnia Medebach erano ben più che la semplice e meccanica incarnazione del loro ruolo. Il meccanismo della sua creatività non è soltanto invenzione geniale ma poggia su un solido e sperimentato mestiere: la conoscenza.

Sara Mamone insegna presso l'Università di Firenze ove dirige la Scuola dottorale di storia dello spettacolo.

Teresa Megale è docente di storia del teatro e dello spettacolo presso l'Università di Firenze

Autore

Le numerose edizioni settecentesche che s’intersecano l’una con l’altra, la mancanza degli autografi e la vastità dell’impresa di fronte alle cento e più commedie, alle decine di melodrammi giocosi, di drammi per musica e di altri componimenti teatrali, cui si affiancano poesie, prose amplissime di memoria e un cospicuo epistolario, hanno impedito fino ad ora che si affrontasse la questione dell’edizione critica delle opere di Carlo Goldoni. La cultura italiana e internazionale si era rassegnata e accomodata all’ombra della grande, meritoria fatica di Giuseppe Ortolani iniziata nei primi anni del secolo, senza, tuttavia, un chiaro progetto e senza precisi criteri filologici. Alla base di questa edizione nazionale vi è stata una preliminare indagine sulle stampe volute dall’autore dal 1750 agli anni ultimi della sua lunga vita al fine di determinare, opera per opera, i diversi stadi del testo. Da qui la presenza di un ricco apparato di varianti che illustra l’evoluzione della singola opera fino al momento in cui l’autore non impone ad essa una fisionomia definitiva. Consegnati al teatro, i testi, che erano nati per esso, riprenderanno immediatamente il loro cammino nella continua e molteplice dinamica dell’interpretazione che qui viene di volta in volta ricostruita nelle pagine dedicate alla fortuna.