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«La rosa della mia guerra»

«La rosa della mia guerra»

Lettere a Venturina
a cura di , prefazione di
978-88-317-8771-0

"La rosa della mia guerra". Così D’Annunzio chiama Venturina, quando, nelle pause fra un’impresa e l’altra, torna dal fronte a Venezia assetato di musica e d’amore. Sì, è un amore grande, uno dei pochi nella vita del Vate-dongiovanni (in tre anni le scrive oltre milleduecento lettere!). Ed è un amore scandaloso. La giovane dama, Olga Brunner Levi, un’ebrea triestina maritata a un veneziano che ne condivide la melomania (lascerà il bel palazzo sul Canal Grande per costituirvi la nota Fondazione Ugo e Olga Levi per gli studi musicali), appartiene alla buona società: e vorrà secretato per decenni quel rovente carteggio che solo ora torna in piena luce. Vibranti di schietta sensualità, le lettere toccano tante altre corde: la tenerezza infantile, l’umorismo gioioso, e poi sospetti, ripicche, gelosie… Ecco le serate-concerto, l’incanto della Laguna, l’attesa trepida ed eccitata dell’azione bellica, la descrizione delle trincee insanguinate nella crudele bellezza del paesaggio: insomma, il carteggio ci svela il volto intimo di Gabriele, l’altra faccia del poeta-soldato. E non mancano gemme di versi improvvisati su quei fogli e lì dimenticati, e tante pagine in dialetto veneziano che col suo orecchio impeccabile l’Imaginifico usa con melodiosa facilità. Scritte con il tocco leggero delle raffinate "faville", ma tanto più calde di vita, le lettere a Venturina serbano dunque una piacevole sorpresa ai patiti di Venezia e ai lettori dal palato più esigente.

Pietro Gibellini, ordinario di letteratura italiana a "Ca’ Foscari", ha al suo attivo molti studi dannunziani, fra cui il testo critico di Alcyone. Dirige l’Edizione Nazionale delle opere di Gabriele d’Annunzio.

Lucia Vivian si è laureata nel 1999 a "Ca’ Foscari" discutendo una tesi sul carteggio fra Gabriele d’Annunzio e Olga Brunner Levi. Lavora presso la Regione del Veneto.

Autore

 (Pescara, 1863 - Gardone Riviera, 1938) è stato protagonista indiscusso della vita culturale, mondana e politica della sua epoca. Venerato o esecrato per le sue gesta erotiche ed eroiche, con i suoi testi si impone quale scrittore di statura europea. Sperimentò tutti i generi: nella narrativa diede con il Piacere (1889) il testo fondativo dell’estetismo italiano e con il Fuoco (1900) un moderno esempio di romanzo-saggio; con le «prose di ricerca», inaugurate dal Notturno (1921), anticipò per molti versi il frammentismo vociano e l’elzevirismo rondesco. Nel teatro rilanciò la tragedia, oscurata dal dramma borghese, e se produsse testi più adatti alla lettura che alla scena, creò un capolavoro con La figlia di Iorio (1904). Vocato alla poesia, passò dal classicismo carducciano del Canto novo (1882) al preraffaellismo e al simbolismo dell’Intermezzo (1884) e dell’Isottèo (1896), dal crepuscolarismo del Poema paradisiaco (1893) al gioioso panismo delle Laudi (Maia, Elettra, Alcyone, 1903), prima di farsi retorico vate della campagna di Libia e della Grande guerra.